La nuova ondata migratoria e l’associazionismo

Noi crediamo che i fenomeni migratori possano essere estremamente positivi: la libertà di circolazione, la contaminazione di culture, il desiderio di cambiamento sono tutti legati anche ai processi di mobilità geografica.

Non ci piace un mondo in cui i grandi capitali finanziari si muovono liberamente, senza limiti, e invece si pongono barriere, filtri, muri alla mobilità delle persone, come sempre più sembra prefigurarsi perfino all’interno dell’Europa.

Fatta questa affermazione di principio, è chiaro che purtroppo spesso la mobilità e le ondate migratorie nascono e si sviluppano sulla spinta di quel crescente divario che si impone, anche nelle ricche società del mondo occidentale, tra chi è sempre più ricco e chi, per mancanza di opportunità, è costretto a emigrare. E’ il caso del nostro paese che, a partire dall’esplosione della drammatica crisi che dal 2008 lo ha investito, ha visto crescere di nuovo il numero di chi emigra riducendo in maniera considerevole lo scarto rispetto a quanti arrivano nel nostro pase fuggendo dalla fame, le guerre e le miserie soprattutto dell’Africa.

Questa nuova ondata di emigrazione arriva nei paesi europei a mescolarsi con la ‘storica’ emigrazione e con i figli e nipoti di quella antica generazione di migranti. Sono in gran parte giovani alla ricerca di nuove opportunità, spinti dalla dilagante disoccupazione giovanile e dalla feroce precarizzazione del lavoro, portata avanti con insistenza dai differenti governi che si sono succeduti negli anni della crisi nel nostro paese.

Questo nuovo flusso migratorio richiede all’associazionismo un profondo rinnovamento. Non si tratta più solamente di offrire uno spazio di socialità e servizi ai nostri connazionali emigrati; si tratta di essere capaci di fare interloquire generazioni e culture, composizioni sociali e bisogni, profondamente differenti. Il tutto in una situazione nella quale, il criterio del risparmio centrato sulla demolizione del welfare e dei servizi, continua a imperare in una logica perversa di austerità senza fine, nella quale i bisogni delle persone non sono che aride cifre di un bilancio da tagliare. Sono i tagli selvaggi e lineari ai servizi consolari, portati avanti con determinazione dal governo Berlusconi, come da quello Monti (quindi supportati da maggioranze politiche profondamente differenti); sono le notizie che continuano ad arrivare e che parlano di tagli per le scuole estere, di riduzione dei fondi per i patronati, tutte cose che non sembrano affatto segnalare un “cambiamento di verso” nelle scelte politiche dell’attuale governo.

L’associazionismo deve quindi affrontare questa nuova sfida. Essere un punto di riferimento capace di offrire servizi anche a una nuova emigrazione, fatta di persone che spesso non restano stabilmente nel nuovo territorio e che quindi non entrano in contatto con i canali classici dell’emigrazione: i consolati (se esistono) e l’Aire.

Uno dei primi terreni sui quali misurarsi per definire un nuovo modello di associazionismo è quello della partecipazione attiva negli organismi di rappresentanza come i Comites. Qui deve misurarsi uno scarto con quella realtà che negli ultimi anni ha visto questi organismi disinteressarsi dei bisogni dei nostri connazionali, scomparire nell’anonimato e nella più totale assenza di trasparenza. Riappropriarsi dei Comites; ‘obbligarli’ a svolgere il loro compito di supporto e controllo (anche del ruolo e delle attività dei patronati); rompere quell’opacità che non può che rinforzare l’idea dell’inutilità dell’impegno nel sociale e nel politico da parte dei cittadini. Un nuovo modello di Comites nei quali l’associazionismo deve essere sempre più presente e protagonista, per “rappresentare e negoziare le scelte riguardanti gli italiani all’estero, ai diversi livelli e direttamente con i decisori pubblici” (dal Manifesto degli Stati Generali dell’associazionismo degli italiani nel mondo).