Rodolfo Ricci (FIEI/Filef) sul Congresso fondativo del FAIM

fiei-logo-orizzontaleIl 29 Aprile si è svolta l’Assemblea Congressuale del FAIM, il Forum delle Associazioni Italiane nel Mondo, che per la prima volta nella storia dell’emigrazione italiana, raccoglie in un unico organismo le principali federazioni associative e molte singole associazioni per una complesso di oltre 1.500 presenze organizzate sui territori dei paesi meta dei maggiori flussi di emigrazione italiana. Abbiamo posto alcune domande a Rodolfo Ricci, eletto alla presidenza del Comitato Direttivo, organo di rappresentanza intermedio del Faim tra l’Assemblea e il Comitato di Coordinamento (esecutivo). Di seguito il testo dell’intervista.

Quali prospettive e quale contributo all’emigrazione italiana con la nascita del Faim ?

Il Faim deve essere uno strumento per le collettività emigrate vecchie e nuove. La sua nascita non riguarda solo il perimetro delle tante organizzazioni che lo hanno fondato, le quali hanno dato prova, a mio parere, di grande consapevolezza dei problemi in campo e della necessità di fare fronte comune per tentare di dare un contributo forte alla loro risoluzione.

Su questo voglio sottolineare una cosa che credo fosse sottintesa nell’ ottima relazione di Pietro Lunetto approvata dal congresso: quando i processi di riaggregazione sono così ampli e superano barriere e confini ideologici o di ispirazione ideale che hanno contraddistinto lunghi periodi storici, vuol dire che ci troviamo ad un bivio storico; la situazione sta cambiando rapidamente e i problemi si aggravano. Al deterioramento del tessuto sociale creato in un secolo di partecipazione sociale anche a causa della disattenzione progressiva delle istituzioni del nostro paese, si aggiunge la ripartenza di imponenti flussi di emigrazione che negli ultimi anni hanno raggiungo i livelli degli anni ’60 del ‘900, quando si parlava di emigrazione di massa. Questi nuovi migranti vanno spesso allo sbaraglio, senza alcun orientamento e in molti dei luoghi di arrivo, in particolare le grandi metropoli europee, si registrano situazioni di marginalità analoghe a quelle che abbiamo conosciuto molti decenni fa: la gente se ne va dal paese accettando lavori anche umili, ma che, a differenze di quanto accade spesso in Italia, gli consente almeno di sopravvivere. Si tratta spesso di diplomati e laureati non solo dei super cervelli su cui si è concentrata l’attenzione dei media.

Ciò che è realmente in gioco è, da una parte, il nostro paese con il suo declino che incede e, dall’altra, i diritti delle persone in mobilità che sono costrette a ripartire. Poi c’è il grande potenziale costituito dalle successive generazioni di migranti italiani andati all’estero, o nati all’estero, che costituiscono un grande potenziale di sviluppo, di cooperazione e di solidarietà internazionale al servizio di un nuovo modello di sviluppo o di un nuovo paradigma per il futuro.

In questo senso mi pare anche fondamentale, che l’approccio proposto dal Faim valga sia per la nostra emigrazione che per la nostra immigrazione, attuale e da venire: dice giustamente Lunetto che abbiamo il 15 % di popolazione migrante, che al momento o è ignorata, o è vista come problema; invece costituisce una risorsa straordinaria. Solo che per attualizzare questa potenzialità ci vuole l’intelligenza della politica e delle istituzioni: se questa non emerge, tutto rischia di rimanere ad un livello potenziale, senza sbocchi. Il Faim deve essere in grado di sollecitare la potenzialità per farla diventare attualità.

Quindi deve porsi come soggetto sociale non di nicchia, ma ambire a ricoprire, nel concreto, un ruolo nazionale e, in prospettiva, transnazionale. In questo si può avverare la prospettiva di un protagonismo dei migranti italiani e dei migranti in generale che può modificare il corso delle cose.

Non sono prospettive troppo ambiziose ?

Forse può sembrare così, ma se siamo coerenti con quanto abbiamo detto e scritto, il fatto che “La Repubblica di tutti gli Italiani”, come è stato intitolato il congresso, contempli nel suo seno oltre 10 milioni di persone tra italiani emigrati ed immigrati sul nostro territorio, dà un’idea dello spazio che è aperto di fronte a noi. Sta a noi riempirlo almeno in parte. Poi ci sono le decine di milioni di oriundi che costituiscono un altro diverso ambito di interesse e di attività. Insomma, la soggettività migratoria attende solo di diventare protagonista, globale e locale: Il Faim può contribuire alla concretizzazione di questa soggettività, sia sul piano dei diritti, sia su quello di una soggettività operosa per nuovi equilibri positivi dentro e fuori dei nostri confini.

Ricordo che noi stessi abbiamo detto che dobbiamo traguardare il nostro lavoro su tempi medio-lunghi, il breve termine è spesso occupato dalla cronaca ed è proprio qui che si manifesta un collo di bottiglia, spesso ideologico o strumentale, rispetto alle potenzialità accennate. Dobbiamo superare questo collo di bottiglia.

E’ su questo che c’è uno scontro col mondo dei partiti e della politica ?

Io penso che i fatti e gli eventi che abbiamo di fronte mostrino a tutti che il problema supera questi corni classici della discussione che ha occupato parte del confronto degli ultimi anni. Ove c’è intelligenza e coscienza analitica e storica queste polemiche sono in buona parte superate; permangono in altri ambiti un po’ più settari o meno attenti. Tutte le persone di buona volontà sanno che i problemi sono per molti versi, di altra natura: la distinzione tra momenti di rappresentanza sociale e momenti di rappresentanza politica, pur restando pienamente valida da un punto di vista formale ed utile per l’analisi, non esaurisce l’ambito di riflessione: c’è chi vede che stiamo andando a grandi passi verso un mutamento di scenario globale e chi non lo vede o lo vede come un evento quasi normale, perché continua a leggere con occhiali un po’ vecchi. Ad una politica attenta e consapevole, non può sfuggire che la base di tutto, ivi inclusa la politica e quindi la democrazia, è la possibilità e la pratica di aggregazione sociale; allo stesso tempo sappiamo che la politica, senza questa condizione, si affievolisce e si riduce ad un piano di presunta autonomia senza base reale, una sorta di tigre di carta che rischia di cadere in mano ai poteri forti o agli uomini forti di turno. Siccome poi gli esiti positivi non si vedono, si è costretti a cambiare i front men continuamente, perché tutti fanno cilecca. Il sistema, da questo punto di vista è imballato, e ciò che è accaduto e accade oggi in Italia e in Europa ne è un esempio molto chiaro e rischioso per gli effetti che sta già producendo.

Però dobbiamo dire che questo sfasamento riguarda non solo la politica, ma anche il sociale: almeno quello legato al vecchio paradigma; bisogna forse recuperare una teoria del potere o delle classi dirigenti che può applicarsi, in modo diversificato ad entrambi gli ambiti e, se vogliamo essere esaustivi, si applica anche all’ambito economico e culturale: ad esempio, il fatto che il capitalismo nazionale continui ad essere relativamente arretrato e dipendente da fattori esterni e consenta, con la nuova emigrazione, la dispersione del capitale umano nazionale disponibile, ne è una conferma; altrettanto accade sul piano della cultura, dove si registra uno scarso protagonismo della funzione degli intellettuali, spesso esterofili, ma molto raramente autocritici rispetto alla mancata funzione, che spetterebbe loro, di condivisione, rafforzamento e sostegno ad una identità nazionale antica e attualissima che continua a produrre importanti risultati quando i nostri scienziati, ricercatori, studenti, ecc. vengono riconosciuti tra i migliori al mondo nei paesi in cui emigrano, mentre a casa loro vengono ignorati; è vero che “nemo profeta in patria”, ma ormai è chiaro che, in questo caso, vi sono tutta una serie di deficienza strutturali e di sistema che riguardano tutti noi.

Ovviamente, prima di tutti riguardano il mondo istituzionale che appare dipendente e sottoposto a forti pressioni esterne, insomma, che non fa il proprio dovere, al di là del fatto che siamo all’interno di una cornice europea – che però fa acqua da tutte le parti – di cui si dovrebbero però rispettare i famosi parametri inventati in un volgere di giornata; d’altra parte, pensare che il problema ce lo risolva un’Europa, al momento inesistente, è come mettere la testa nella sabbia. Invece ce lo dobbiamo risolvere da noi, non ci sono santi: un’Italia più forte può dare un contributo forte ad una nuova Europa. Se invece ci aspettiamo che l’Europa mercantilista e neoliberista risolva i nostri problemi, credo che siamo non solo fuori dall’Europa, ma fuori dal mondo, perché le logiche applicate sono proprio le cause principali dei problemi con cui ci stiamo confrontando.

Non ti sembrano riflessioni un po’ troppo fuori tema ? Tornando al Faim, cosa può fare questa nuova creatura ?

No, non sono fuori tema; dobbiamo sempre essere attenti ai contesti e ai perimetri entro cui ragioniamo e ci confrontiamo. Per esempio, coerentemente con quanto detto, dovremmo riuscire a rendere egemone, all’interno del dibattito politico nazionale, l’argomento che le nostre risorse umane non vanno regalate agli altri o, se ciò è al momento inevitabile, vista la situazione in cui versiamo, scegliamoci almeno il fruitore, che non necessariamente debbono essere i paesi già forti; potrebbero essere anche alcuni paesi in via di sviluppo, con i quali, a medio termine, possiamo costruire relazioni reciprocamente redditizie; penso che, nel pieno rispetto della libertà di emigrare e di cambiare paese, da una parte vada contenuto il flusso di nuova emigrazione rilanciando lo sviluppo interno e dall’altra vanno costruiti vincoli solidi e duraturi con coloro che sono emigrati negli ultimi anni, soprattutto fornendo servizi, tutela e accompagnamento, dal momento che non siamo in condizione di valorizzarli all’interno del paese, ma potremmo tornare ad esserlo, se ne saremo capaci, in futuro; poi, rispetto all’emigrazione consolidata da decenni, va costruita una progettualità in grado di mettere a valore la rete mondiale di cui disponiamo, sia per la cultura che per la cooperazione sociale e economica.

Ma per tutto questo servono soldi e i soldi non ci sono…

Tanti o pochi che siano i soldi vanno utilizzati con attenzione e parsimonia; ancora di più se, come si dice, sono pochi: come conviene spendere i pochi soldi a disposizione ? E’ questa la domanda che dobbiamo porci. Per comprare bombardieri ? Per fare le Olimpiadi ? Quelli utilizzati per l’Expo, che esito hanno prodotto ? Non intendo porre solo questioni di natura morale, cosa che comunque ha una suo grande rilievo, ma proviamo a vedere quanto sta costando ed è costato l’esodo verso l’estero di giovani formati con risorse del nostro sistema educativo e scolastico e delle nostre famiglie. Riprendendo i calcoli di un grande studioso dell’emigrazione, Paolo Cinanni, solo negli anni della crisi ci troviamo di fronte ad un esborso di decine e decine di miliardi; persone che vanno a produrre PIL da altre parti, mentre noi siamo “in crisi”. Se proiettiamo questa situazione a venti o trenta anni ci troveremmo di fronte a cifre da paura.

Allo stesso tempo solo per citare una altro esempio, pare che dovremo dare indietro alla UE, ancora una volta, parecchi miliardi perché non siamo stati in grado di impegnarli adeguatamente nel quinquennio che volge al termine. Il rischio è presente anche per gli stanziamenti futuri del quinquennio che finirà nel 2021. Basterebbe una frazione di queste risorse per produrre risultati concreti e decisivi nel nostro ambito di azione.

Sono risorse in mano, in buona parte, alle Regioni, molte delle quali nel frattempo hanno chiuso le consulte dell’emigrazione e ridotto drasticamente o azzerato, seguendo l’esempio malsano del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione, le poche risorse che erano destinate all’emigrazione.

Cosa ci vuole a varare un piano specifico per l’emigrazione che consenta di recuperare una parte delle risorse necessarie e ad evitare, al contempo, di figurare tra i paesi meno attenti al conseguimento degli obiettivi di spesa e di equilibrio comunitario? Se la Direzione Generale dell’Emigrazione presso il Maeci non ha gli strumenti tecnici per farlo, il Faim si mette a disposizione. Si tratta, tra l’altro, solo di recuperare una prassi già in parte adottata in passato.

A questo proposito voglio anche dire che il Maeci deve decidersi se intende rappresentare al meglio, dal punto di vista istituzionale, le esigenze di questa parte di popolazione italiana nel mondo, oppure se preferisce che questo ambito di competenze passi ad altri ambiti istituzionali. E’ importante saperlo.

Anche il Cgie, d’altro canto, deve decidersi: non può continuare a lavorare solo con il mero obiettivo di contenere i tagli che anno dopo anno vengono apportati ai capitoli di spesa per l’emigrazione; oppure con quello di riformare se stesso ricercando una sua compatibilità con le riforme istituzionali di volta in volta in atto.

Nel nuovo Cgie ho visto tante nuove energie che aspettano solo di essere attivate. Il bel messaggio del Segretario Generale Michele Schiavone e di Maria Chiara Prodi, Presidente della commissione sulla nuova emigrazione del Cgie, all’Assemblea Congressuale del Faim è, da questo punto di vista di buon auspicio anche perché ha colto perfettamente l’importanza e la necessità di un confronto e di una collaborazione continuativa con il Faim.

Ma non vi sentite un po’ soli in questa intrapresa ? E il Faim è adeguato per portare avanti obiettivi così ambiziosi ?

Non credo affatto che siamo soli. Penso che in molti nel mondo dell’emigrazione la pensino proprio come noi. Il messaggio di augurio inviatoci dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ringraziamo e al quale siamo davvero tutti molto grati per la sua attenzione, costituisce un elemento di grande rilievo. La sua sottolineatura sull’importanza dell’associazionismo per il presente e per il futuro non è qualcosa che lascia il tempo che trova: è un elemento di riflessione per tutti. Poi ho ascoltato il messaggio del Presidente della Repubblica, in occasione della giornata del 1° maggio, che mi sento di condividere pienamente e che comprende elementi di analisi corrispondenti alla nostra visione delle cose, in particolare rispetto alle questioni del lavoro e delle giovani generazioni. Mi pare sia un messaggio che coglie in pieno il passaggio di fase che stiamo attraversando. Se il Presidente Mattarella dice queste cose, penso che non siamo affatto isolati.

E’ che questa urgenza dei compiti che abbiamo di fronte deve diffondersi e trovare elementi di unità più ampia; per questo lavoreremo e ci impegneremo in modo molto convinto.

Per quanto riguarda l’adeguatezza o meno del Faim, è la sfida che abbiamo di fronte ed è qualcosa che verificheremo insieme. Intanto il gruppo dirigente uscito dal congresso mostra un bel connubio tra risorse storiche dell’emigrazione e esponenti della nuova emigrazione. Poi il nucleo che ha aderito mostra molte interessanti novità di nuovo associazionismo. Questa composizione ha il compito di traghettare verso le nuove generazioni di dirigenti dell’associazionismo le esperienze più significative e la memoria di decenni di battaglie e di azioni concrete che hanno mantenuto il tessuto sociale delle collettività emigrate.

Ed ha il compito di inaugurare una nuova stagione di cooperazione interna al mondo associativo che metta in rete le migliori esperienze e le buone prassi prodotte nel tempo, coniugandole con i nuovi fabbisogni che emergono. Quindi siamo fiduciosi, anche se nessuno di noi si nasconde che abbiamo di fronte una grande responsabilità e che la verifica di queste potenzialità si definirà in un contesto particolarmente complesso, caratterizzato dai difficili scenari che conosciamo.

E’ anche per questo che abbiamo detto che dobbiamo contare essenzialmente sulle nostre forze, sulle competenze interne. Ma questa condizione, in questa fase storica, riguarda un po’ tutti. E’ anche vero che queste competenze e risorse riassunte nel Faim sono a disposizione delle comunità e di chi saprà coglierle.