La Repubblica di tutti gli italiani: Costituzione, diritti e lavoro dell’Italia migrante: RELAZIONE INTRODUTTIVA

faim-12-400px1° Assemblea Congressuale FAIM – 29 Aprile 2016 – Sala Fredda, Via Buonarroti, Roma – La Repubblica di tutti gli italiani: Costituzione, diritti e lavoro dell’Italia migrante – La Relazione introduttiva di Pietro Lunetto, del Comitato di Coordinamento.

Pietro Lunetto

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L’anno prossimo saranno 70 anni dall’approvazione della nostra Costituzione. In autunno conosceremo gli esiti della consultazione referendaria rispetto alle modifiche proposte dal Governo. Allo stato attuale ci limitiamo a registrare che la modifica introdotta, relativamente alla nuova configurazione del Senato, comporterà una riduzione netta del 30% della rappresentanza degli italiani all’estero.

Da questo punto di vista è difficile sostenere che si tratti di un miglioramento.

A 70 anni dall’approvazione della nostra Carta, una delle piu’ avanzate al mondo, restano inapplicati molti dei principi costitutivi. La Repubblica è fondata sul lavoro, ma oggi, in concomitanza con i grandi drammi degli esodi migratori dal sud del mondo, ci troviamo anche di fronte ad un nuovo consistente esodo di giovani connazionali, paragonabile a quello della seconda metà degli anni ’60, nella quasi indifferenza del mondo politico italiano.

Purtroppo, non sono soltanto in centomila quelli che se ne sono andati nel 2015, come risulta dai dati disponibili in Italia, (AIRE-Istat), ma molti di più: stando ai dati forniti da altri paesi, per esempio dalla Germania e dalla Gran Bretagna, il nuovo esodo italiano in questi che sono i due paesi di massimo afflusso di connazionali, è superiore di almeno 4 volte a quello dell’Aire.

Riguardo a questi due paesi che in questo momento risultano essere le mete più ambite della nuova emigrazione, nel corso degli ultimi 4 anni, cioè dal 2012 al 2015, secondo i dati italiani sarebbero emigrati 43.401 italiani in Germania; secondo i dati tedeschi, invece, ve ne sono arrivati 200.180. Analogamente, in Gran Bretagna, sarebbero stati, secondo l’Istat, 39.278; mentre per gli inglesi, sono stati 158.400.

(Trovate i dettagli nella tabella alla fine del documento [*] ).

Scostamenti simili si registrano anche verso la Svizzera, la Francia, il Belgio e l’Olanda. La recente ricerca della Migrantes sulla nuova emigrazione in Australia ci dice che negli ultimi anni si è superato il picco degli arrivi in questo paese che risalivano agli inizi degli anni ’50.

Sulla base di questi dati è sostenibile la stima che l’entità della nuova emigrazione italiana si aggiri, negli ultimi anni, tra le 250.000 e le 300.000 unità all’anno. Nell’ipotesi più contenuta, ciò corrisponde al flusso di espatri medio che si registrò dal 1965 al 1970 che fu complessivamente di 1.078.000 (mentre nel quinquennio 1960-1964 furono invece 1.556.000, cioè circa 300mila all’anno).

Abbiamo voluto iniziare con questi numeri perché confermano quanto avevamo già sostenuto nel manifesto e nella relazione introduttiva degli Stati Generali: ci troviamo in un periodo di enormi squilibri tra aree e paesi e di pessima distribuzione delle risorse e delle ricchezze anche all’interno dei singoli paesi.

Gli imponenti flussi di profughi e di migranti a cui assistiamo si svolgono dentro questa cornice e ne costituiscono l’effetto più impressionante. Il nostro paese non ne è immune, anzi, è uno di quei paesi che sperimenta allo stesso tempo grandi flussi in arrivo e allo stesso tempo grandi flussi in partenza.

Pochi però sanno che dal 2014, siamo di nuovo diventati un paese prevalentemente di emigrazione, piuttosto che di immigrazione.

Questa situazione, oltre che essere una fotografia dei tempi e della condizione attuale dell’Italia, pone tutta una serie di domande talvolta inquietanti sul nostro futuro e sul mondo più adeguato per rispondere positivamente a queste sfide epocali.

La nostra convinzione è che bisogna trasformare in opportunità ciò che i tempi ci consegnano come problema. La sfida è grande, ma se non riusciamo a farlo, aumenteranno i problemi e sfumeranno le opportunità.

Le opportunità derivano dal fatto che siamo uno dei pochi paesi al mondo ad avere circa il 15% di popolazione migrante: se sommiamo il 7% di italiani all’estero e l’8% degli immigrati in Italia. Si tratta di un’enorme risorsa di relazioni e competenze umane, internazionali e interculturali, che attende di essere innescata e che può costituire uno degli elementi di forza per il nostro paese, laddove la Politica operi con intelligenza e lungimiranza.

E’ questa la repubblica di tutti gli italiani e dell’Italia migrante nello specifico, come abbiamo voluto intitolare questo nostro primo congresso del FAIM.

Questo straordinario patrimonio umano rivendica i propri diritti ed è pronto a dare ancora di più di quanto finora è stato in grado di dare. Ma per questo è necessario che vi sia la capacità di ascolto e di investimento. E da parte nostra, come sappiamo, è indispensabile rafforzare gli elementi di credibilità, unitarietà ed efficacia.

 

COOPERAZIONE VS COMPETIZIONE

I fenomeni appena accennati e che tutti abbiamo sotto gli occhi, ripropongono in tutta la loro pregnanza l’opzione tra un paradigma di COMPETIZIONE generalizzata che ha prodotto la situazione in cui ci troviamo e un paradigma di COOPERAZIONE senza il quale siamo destinati alla catastrofe.

Il primo livello di cooperazione si realizza tra le persone. L’associazionismo è uno dei prodotti fondamentali di questa cooperazione. Gli elementi basilari di partecipazione nascono all’interno di momenti associativi. Se questi momenti vengono dissolti o distrutti, o le associazioni non cooperano tra di loro perche’ immerse nel paradigma competitivo, si finisce in una dimensione anomica, in un individualismo talvolta esasperato, ove vige solo competizione, vittoria o sconfitta; sicuramente marginalità.

Ma oggi cominciamo ad avere contezza che le presunte vittorie del nostro occidente nel corso degli ultimi decenni e in particolare negli ultimi 25 anni, hanno prodotto e stanno producendo situazioni insostenibili, per le persone, per i territori e per lo stesso ecosistema.

E’ da queste presunte vittorie – che hanno trasformato grandi territori in rovine o in deserti a causa delle guerre e dello sfruttamento sconsiderato delle risorse, – è da queste nostre presunte vittorie che si muovono centinaia di milioni di persone. E le presunte vittorie si stanno trasformando visibilmente in sconfitte epocali.

Non vi è più spazio storico per questo paradigma, è necessario passare ad un modello di coesistenza e di cooperazione nuovo, sia tra paesi e continenti, sia all’interno dell’Europa, sia all’interno del nostro paese.

I cittadini migranti possono costituire a tutti questi livelli, una delle basi per il nuovo paradigma di cooperazione. L’atto costitutivo del FAIM delinea diversi approcci ed opportunità che possono essere percorse e che vanno insieme precisate.

 

EUROPA

L’Europa si trova ad un bivio storico: o è in grado di recuperare la propria ispirazione di fondo, quella di un modello sociale ed economico equilibrato, aperto e dialogante con l’esterno, oppure è destinata a scomparire.

La sospensione più volte praticata e sempre più frequentemente teorizzata degli accordi di Schengen, la minaccia di istituire muri per i migranti dentro e ai confini dei terriotri dell’Unione, le misure accordate recentemente alla Gran Bretagna per evitare il cosiddetto Brexit, che istituiscono, per la prima volta dopo gli accordi di Roma, differenti livelli di diritti sociali tra cittadini membri di paesi comunitari, sono segnali inequivocabili che ci troviamo già dentro un percorso di destrutturazione.

Sembrerà paradossale, ma in questa situazione, per un giovane italiano, sarà conveniente emigrare in Brasile, o in un paese oltreoceano, piuttosto che in Inghilterra. E’ qualcosa che fino a poco tempo fa non potevamo immaginare.

Analogamente, il crescente fenomeno delle espulsioni di cittadini comunitari da parte di altri stati membri, per contrastare il cosiddetto “turismo sociale”, segnala che a dispetto di quanto ci è stato declamato per decenni, la libera circolazione sarebbe una prerogativa esclusiva delle merci e dei capitali e non più delle persone.

Questi esiti dell’unificazione europea sono inaccettabili e non possono durare a lungo.

Allo stesso tempo, anche se ci trovassimo all’interno di un quadro unitario e ottimale e di libera circolazione, gli esiti della crisi che dura da ormai quasi 10 anni, con gli enormi concentramenti di capitali verso il nucleo duro d’Europa e con la crescita dell’indebitamento dei paesi periferici, mostra che gli squilibri sono più profondi di quanto si pensi: d’altra parte, noi italiani ne abbiamo un esempio secolare con il nostro meridione, che a distanza di oltre 150 anni dall’unità del paese, versa ancora e di nuovo in una situazione critica. Non è affatto detto che procedere a tappe forzate verso l’unificazione porti automaticamente all’equilibrio sperato: per questo c’è bisogno di una volontà politica condivisa e della disponibilità a cedere non solo sovranità, ma a ridistribuire ricchezza.

Vorremo richiamare a questo proposito la previsione fatta nell’autunno scorso dallo Svimez, secondo la quale, la permanenza degli attuali squilibri rischia di desertificare la popolazione del meridione italiano di circa 5 milioni di persone da ora al 2050, in un contesto di crescente decremento demografico presente già da anni.

Mentre, parallelamente, altre previsioni, in questo caso tedesche, ci dicono che debbono affluire in Germania almeno 10 milioni di persone, nello stesso arco di tempo, per mantenere integro il potenziale economico della locomotiva d’Europa.

Questi sono gli scenari interni al continente, rispetto ai quali, molte discussioni politiche a cui si assiste, assomigliano a rumori indecifrabili.

 

ITALIA

Quale destino quindi per un paese, come il nostro, al centro del Mediterraneo, ponte storico tra culture e civiltà, attraversato da correnti di donne e uomini che vengono e che se ne vanno ?

E quali scelte si rendono urgenti per evitare un declino che potrebbe essere secolare ? E all’interno di questo tempo, quale contributo possiamo dare noi, in quanto rappresentanti della diaspora italiana e impegnati da sempre nella difesa dei diritti dei cittadini migranti di ogni latitudine ?

Il nostro contributo può essere importante. Intanto nell’evidenziare e rendere manifeste le contraddizioni, le incoerenze della politica e delle istituzioni, le insufficienze e gli errori di un sistema paese che, ad esempio, mentre ambisce a rilanciare la crescita, lascia tranquillamente defluire le migliori competenze e energie giovanili della nuova emigrazione verso altri lidi. Dov’ è il senso di questa scelta ? Abbiamo già accettato l’irreparabile ?

Poi continuando a denunciare, come facciamo da tempo, la cancellazione e la riduzione di interventi e di risorse a favore dell’emigrazione e dell’immigrazione. Non è ancora chiaro evidentemente, che questa pratica corrisponde alla perdita di occasioni storiche per il paese, più che per i soggetti che rappresentiamo.

Ma allo stesso tempo, riformulando la nostra azione di organizzazioni sociali; cioè riprogettando il nostro insediamento nei contesti mutevoli di cui abbiamo parlato. E questa è una nostra stretta responsabilità.

Il FAIM nasce per lavorare insieme, in quanto rete di associazioni, magari anche prescindendo dalla scarsa attenzione che questo paese ha concesso e concede alle decine di milioni di persone che hanno fatto la storia d’Italia lontano dai suoi confini e che continua, silenziosamente, a fornire un contributo forse non immediatamente visibile, ma invece molto concreto, come, solo per citare un esempio, quello del sostegno al nostro export, alla nostra cultura, alla nostra lingua.

Certo a volte cadono le braccia a sentire che le modiche e spesso misere pensioni pagate all’estero costituiscano un problema per il nostro PIL. Oppure che il risparmio operato sugli interventi di lingua e cultura ha aiutato il paese in un difficile momento di rimodulazione della spesa. Sono cose abbastanza ridicole. Si potrebbe affermare precisamente il contrario: cioè che la riduzione dei fondi e degli investimenti ha ridotto, in misura proporzionale, le opportunità di crescita del PIL.

Tra l’altro ci si è completamente dimenticati del pareggio di bilancio conseguito per decenni grazie alle rimesse. E neanche una virgola di accortezza a valutare l’ammontare delle pensioni pagate dall’estero a chi nel frattempo – e sono in tanti – è rientrato in Italia. Si tratta di svariati miliardi che continuano a giungere in Italia sotto forma di prestazioni previdenziali a coloro che hanno lavorato per decenni all’estero e che vengono spesi in Italia.

Certamente la memoria non è una virtù nazionale.

Anche per questo, sarà difficile che questi miracoli si ripetano, almeno nella misura del passato: la nuova emigrazione che se ne va dall’Italia, in mancanza di un decisivo miglioramento interno, non tornerà indietro; raramente si costruirà la casa al paese di origine alimentando la nostra industria edilizia. Insomma, vi è il rischio concreto che la perdita sia definitiva e permanente.

Dal nostro canto, in quanto rappresentanza di un mondo associativo che sopravvivrà alle fortune o alle disgrazie italiane nella misura in cui saprà adeguarsi ai nuovi bisogni, siamo impegnati a continuare il nostro lavoro, in autonomia e contando essenzialmente sulle nostre forze. Il Forum delle associazioni italiane nel mondo è uno strumento in questo lungo percorso. Su questo deve esserci chiaro che ci assumiamo una responsabilità importante che ci impegna a superare metodi e divisioni che hanno caratterizzato negativamente il passato.

 

Il FAIM

Il Forum esprime una rappresentanza unitaria che non può essere ricondotta a quella istituzionale e politica della cosiddetta “rappresentanza perfetta” costituita dalla triade Comites, CGIE + rappresentanza parlamentare della circoscrizione estera.

Questa “rappresentanza perfetta” nel corso degli anni ha finito coll’assomigliare sempre di più ad una sorta di “riserva indiana”, costretta a impegnare le proprie energie essenzialmente nel contenimento dei tagli di capitoli di spesa afferenti quasi esclusivamente al MAECI.

Ma se la nuova emigrazione porta oltre 200.000 persone all’anno fuori dai confini del paese, con tutto ciò che questo significa in termini di decremento demografico e di perdita di risorse umane che abbiamo formato e che mancheranno allo sviluppo del paese, cosa pensiamo che possa fare il MAECI ? O meglio, questa questione deve essere relegata dentro i confini di una relazione esclusiva con il MAECI, o piuttosto si tratta di una questione che riguarda l’interezza del paese e quindi deve sollecitare anche molti altri interlocutori ?

Per  questo riconfermiamo che un altro obiettivo che dobbiamo porci è quello di stringere alleanze con le altre organizzazioni sociali e di ampliare il ventaglio di interlocutori istituzionali, anche oltre l’Italia, verso i Paesi di accoglimento e le istituzioni multilaterali a partire dall’Unione Europea. In parte, l’associazionismo che rappresentiamo, sta già operando in questa direzione, si tratta di trasferire a tutti le buone prassi e mettere in rete le diverse esperienze costruendo una proposta operativa.

Allo stesso tempo, rispetto al quadro di riferimento italiano, si deve instaurare una fase di progettualità comune, coinvolgendo anche i nuovi Comites e il nuovo Cgie.

Il Faim è un soggetto pluricentrico e questa qualità deve essere rafforzata con la nascita dei Forum-Paese. La nascita del Forum nazionale non esaurisce la fase di riaggregazione dell’associazionismo, ma funge da stimolo perché si affermi nei territori una analoga prassi unitaria e di lavoro comune.

La relazione introduttiva degli Stati generali dello scorso mese di luglio 2015, approvata all’unanimità dall’assemblea, indicava in sede di analisi e di proposta, una serie di questioni che vale la pena riprendere perché costituiscono la base del nostro futuro lavoro:

Abbiamo sostenuto che l’associazionismo è una risorsa fondamentale, ma abbiamo anche rilevato il ritardo di forme organizzative eccessivamente centralizzate che non hanno colto in modo adeguato le modificazioni e le novità che emergevano nelle rispettive reti e all’interno delle collettività.

Dobbiamo dunque riscoprire i nostri valori fondanti, la solidarietà, il senso civico e di appartenenza, la responsabilità collettiva per una società più solidale e per la partecipazione democratica, la capacità di ascolto e di relazione, la disponibilità alla “contaminazione” interculturale, rifuggendo da autoreferenzialità e presunzioni italo centriche, partendo dalla costatazione che l’individualismo sfrenato ha messo radici anche nell’emigrazione.

Riconquistare consapevolezza del nostro ruolo ed essere capaci di innovare dipende dunque da una riflessione aperta, critica ed autocritica. In questo senso, l’innesto delle energie della nuova emigrazione nel contesto ampio e radicato costituito dalle nostre migliaia di associazioni, è una grande occasione.

Abbiamo detto che il Forum deve mirare ad una ricomposizione del tessuto connettivo dell’emigrazione, anche superando le divisioni storiche presenti in campo associativo. Ciò non significa abiurare alle reciproche convinzioni, ma trovare un percorso comune e di concretezza determinato dalle necessità e dai fabbisogni delle persone.

Abbiamo detto che l’emigrazione italiana vecchia e nuova conosce la difficoltà e gli effetti problematici dei processi d’integrazione, ma anche la positività della costruzione di relazioni interculturali. Su questo patrimonio di competenze e di storia possono essere avviate azioni nuove che consolidino la nostra rete e siano in grado di dare un contributo importante all’evoluzione sociale e politica italiana e dei paesi in cui viviamo.

Abbiamo detto che conosciamo anche gli effetti negativi dei processi migratori soprattutto per le regioni di origine e anche in questo ambito la nostra rete è di grado di fornire un contributo importante per contribuire allo sviluppo delle aree svantaggiate: la libertà di emigrare è un diritto incontestabile, ma un diritto incontestabile è anche quello di non dover emigrare per forza; e ciò vale sia per noi, sia per le popolazioni del sud del mondo coinvolte nei nuovi grandi esodi.

A questo proposito chiediamo che si avvii rapidamente una discussione per un piano che consenta di utilizzare almeno una parte dei fondi comunitari non ancora spesi dell’ultimo quinquennio e di sviluppare un apposito programma interregionale per i quinquennio 2016-2021.

Abbiamo detto che il deterioramento della qualità della vita umana, la degradazione sociale che si viene producendo a causa della crescente diseguaglianza che colpisce individui e paesi, obbliga a impegnarci per una nuova etica nelle relazioni internazionali.

Poiché siamo un ponte tra mondi e culture diverse, poiché sappiamo che emigrazione ed immigrazione sono in realtà uno stesso fenomeno visto da prospettive diverse, possiamo fornire un importante contributo sul versante della cooperazione internazionale.

La condizione è quindi che con il Faim si esprima una nuova soggettività autonoma, propositiva e svincolata da paradigmi unilaterali o da subalternità culturali o di altro genere.

 

NUOVA EMIGRAZIONE

Le cifre sono state gia’ citate. Siamo tornati ai ritmi di emigrazione degli 60 del Novecento. Ancora poco si conosce della composizione della nuova emigrazione, sia nei vecchi che nei nuovi  paesi di accoglimento Conoscere a fondo questi aspetti, ci consentira’ di lavorare al meglio per conseguire gli obiettivi che ci siamo dati.

Infatti una delle priorita’ che dobbiamo darci è quello di diventare un riferimento per i nuovi migranti: bisogna sviluppare azioni e servizi di accompagnamento, assistenza e tutela; di difesa dei diritti e di un welfare transnazionale che garantisca le persone in movimento. Poiché appare scarsamente realistico pensare che l’emergenza lavoro in Italia sarà positivamente risolta in poco tempo, questa è una delle azioni che dovremmo essere in grado di mettere in campo. Per farlo nel migliore dei modi, coinvolgendo anche quelle entita’ o che ancora non fanno parte del FAIM o esterne ad esso, proponiamo la realizzazione di un incontro internazionale sulla nuova migrazione italiana da svolgersi entro la fine del 2016.

 

Obbiettivi organizzativi

Come già approvato dall’assemblea degli Stati generali, e riconfermato nel documento preparatorio, vi sono alcuni obiettivi organizzativi che sono indispensabili per far  procedere l’azione del Faim nei termini illustrati:

1)- Ottimizzare la comunicazione interna e la proiezione esterna del Faim: pensiamo che sia indispensabile attivare subito una piattaforma web che consenta di rinsaldare i legami tra le associazioni aderenti e che sia in grado di comunicare all’esterno ciò che facciamo e che faremo.

2)- Diffondere le buone pratiche già sperimentate da alcune organizzazioni a tutta la rete nei diversi ambiti di: partecipazione, educazione civica, lingua, cultura, formazione, progetti di sviluppo locale, cooperazione internazionale, servizi di orientamento, tutela, ecc.

3)- Sviluppare i momenti di analisi, di progettazione e di gestione comune per tutte le materie che si ritengono prioritarie.

Gli organi statutari che andremo ad eleggere, rispondono al momento agli obiettivi che ci eravamo dati a luglio, cioè quelli di sollecitare il massimo di partecipazione orizzontale; ma per ottenere risultati concreti sarà necessario strutturarsi anche informalmente per ambiti ed aree di lavoro che supportino l’attività del Comitato di Coordinamento. Ciò consente di valorizzare le tante competenze già presenti nella rete sia in Italia che all’estero.

Il compito che abbiamo di fronte oggi è quello di passare alla fase esecutiva, eleggendo gli organi dirigenti del Faim e proseguendo nella concreta realizzazione degli impegni assunti.

Il Comitato direttivo e il Comitato di coordinamento dovranno operare per raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati. Sta a tutti noi verificare in quale misura ci avvicineremo ad essi o in che modo dovranno essere corretti e rimodulati.

 

[*]

Ingressi di italiani in Germania e in Inghilterra secondo l’Istat e i rispettivi istituti di statistica locali: gli anni indicati registrano i dati registrati negli anni precedenti: (2012, stabilimenti reali di italiani nel 2011 e così via)